Se è vero che gli uomini sono disposti a credere piuttosto che a capire
e che la nostra è l’epoca dell’appagamento che maschera la delusione,
assumere la memoria “storica e popolare” come bussola
capace di riscrivere le libertà della conoscenza,
costituisce il fine della universale necessità di cultura dal basso,
quale processo di sedimentazione, di coscienza, di consapevolezza.
Se l’irrazionalità è il prodotto dell’incapacità di operare giudizi comparativi
e che nella velocità dell’agire sta la negazione stessa del comprendere,
occorre che l’uomo diventi colto non tanto nel sapere quanto nell’apprendere.
Cosa saremmo senza memoria?
Esseri alla deriva, assenti a noi stessi e al mondo.
La nostra memoria è la nostra identità; testimone del tempo che passa,
alimenta il nostro presente,
forma la nostra personalità, costituisce il nostro sapere.
E’ il cemento delle società umane, il legame tra le generazioni.
Tuttavia la memoria non è di per sé vaccino né garanzia di difesa,
come la storia insegna molto chiaramente: ricordare non basta,
ci vuole la presa di distanza da ciò che ci appare ovvio e naturale,
per darci la consapevolezza delle scelte che sono state fatte nel passato
e che continuiamo a compiere nel presente
con lo spirito critico e libero che tiene a distanza la cultura ammannita.
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